Il passato ci ha consegnato un bene prezioso - Il suo futuro dipende da noi
La Pineta di Arenzano, di Brunetto de Battè - pubblicato il 13/02/2007
Una sperimentazione architet-
tonica, poco conosciuta, nata dal nulla nella seconda metà degli anni cinquanta. Un luogo straordinario in origine, e lo è ancora, un altopiano sul mare che aggiunge i 90/100 metri con 135 ettari di terreno, un tempo un bosco a macchia mediterranea, riserva di caccia e zona agricola di unica proprietà. Un luogo storicamente indimen- ticabile tanto che Alford nel viaggio da Cannes a Genova lo racconta con precisa descrizio- ne e Rodocanachi lo ritrae su tela in lungo ed in largo… La Cemadis s.p.a. (Centri Marittimi di Soggiorno) inizia, negli anni ’50, nel comprensorio della pineta una strategia di piano sperimentale. Due firme prestigiose dell’architettura mi- lanese, Gardella e Zanuso, im- postano una prima bozza in un piano di lottizzazione, poi sviluppato dagli uffici tecnici della società, che prevede la distribuzione del comprensorio per comparti edificatori e di at- trezzature collettive (un campo da golf a 18 buche, campi da tennis, un centro ippico, un piccolo centro direzionale ed un albergo con due piscine con annesso porticciolo turistico). La viabilità interna riprende i viottoli e i sentieri già esistenti pensati come strade pedonali e per veicoli elettrici. I primi lavori di costruzione vengono iniziati nei primi mesi del 1957 con l’Hotel residenza Punta S. Martino firmato dalla coppia Gardella-Zanuso ed un villino di sette appartamenti firmato Gardella-Veneziani… seguono la Piazza degli edifici del centro (conosciuta come il “portichetto”) di Gardella e le “case rosse” di Zanuso, tutti esemplari edifici in parte rintracciabili tra le pieghe delle singole monografie , ma inseriti in questo contesto assumono un valore di esperienza. Tanti si sono avvicendati con più interventi: Franco Buzzi, Luigi Caccia Dominioni, Anna Castelli, Gianfranco Frattini, Vico Magistretti, Roberto Manghi, Giò Ponti, Luigi Rovera, Gianni Zenoni, poi Robaldo Morozzo della Rocca, Cesare Clivio, Datta, Giorgio Gnudi, Adriano Pietra e gli ingegneri Mosca e Dufour. Un patrimonio di notevole importanza dal punto di vista architettonico, unl uogo immer- so nel verde pieno di tensione sperimentale (almeno nella pri- ma fase), dalla villa Arosio di Ludovico Magistretti (pubblica- ta nella rivista di E.N.Rogers in Casabella Continuità n. 234 e in copertina che apriva il dibattito interno al CIAM sulla questione italiana, ultimamen- te riscoperta da Domus in un reportage fotografico in omag- gio a Magistretti), al Portichet- to e complessi Punta San Mar- tino e casa propria per le va- canze di Ignazio Gardella, splendidi esempi di immersione nel paesaggio e composizioni colte. Notevoli sono gli agganci con il terreno, i materiali sono poveri, l’intonaco alla genovese è tinteggiato in pasta o con mattone macinato, la pavimen- tazioni è in grés, tetti e manti di copertura sono in ardesia e |
le persiane verdi (alla francese)
Erano gli anni, per Gardella, dei contemporanei cantieri vene- ziani della Cà alle Zattere, della fabbrica di taglio ad Alessandria e della mensa Olivetti ad Ivrea, della Chiesa di Cesate e questa esperienza arenzanese metteva le basi per analoghi complessi turistici come ai Piani d’Invrea a Varazze e al porto di Punta Ala a Castiglione della Pescaia. Gardella soggiornerà parecchio ad Arenzano prolungando l’atti- vità con progetti realizzati in Liguria compreso il teatro Carlo Felice, pensato e progettato con Aldo Rossi tra i pini della collina d’Arenzano. Altri esempi concorrono alla sperimentazione come la Villa Ercole di Giò Ponti (pubblica- ta su Domus 392/62) con la grande sporgenza del tetto crea, sul fronte a mare, una zona coperta per il pranzo … in tutta la casa il pavimento è in ceramica a righe blu diagonali e il soffitto a righe bianco lucido e bianco opaco, mentre l’intradosso della sporgenza del tetto è dipinto in blu scuro… sperimentazioni di materiali e tecniche in rigoroso risparmio come nel grande complesso Marina Grande di Vico Magis- tretti, articolato e reso in una unità di abitazione per vacanze su diversi piani a cascata verso il mare con attrezzature bal- neari, servizi collettivi, piscine… Nel ‘64 Casabella dedica ben due numeri monografici sulle coste italiane e villaggi turistici. Gardella, in un discorso intervi- sta, mi espose la verosomi- glianza con la strategia di De Carlo per Monte Marcello,case sparse inserite morfologicamen- te sulle curve di livello a segui- re senza sbancamenti. Mentre sto scrivendo ci sono mostre celebrative a Milano, Torino e Genova dei rispettivi Maestri come Albini, Mollino e Gardella che rappresentano si l’aspetto colto della cultura borghese, quella perlomeno che traghetta nel boom economico lo stile molto ammirato e riconosciuto sia dal mondo accademico che fuori definito come Italy Stile, ma anche seconde case contrapposte ai baraccati di Pasolini e quartieri della vacanza contrapposti all’INA CASA. Dove stava l’utopia come dimensione dell’abitare e idea di città ? E’ bene riconoscere, appro- priarsi di una storia recente dell’architettura moderna come fatto monumentale di riferi- mento dell’innovazione e tra- sformazione del nostro paese e paesaggio ed ha ragione Baldi di tutelare, archiviando, per generare una memoria collet- tiva allargata alla contempora- neità, ma la tutela è come un macigno che incide sui costi sociali. Perché conservare le ludiche sperimentazioni indivi- duali di una classe quando si sono demoliti padiglioni della triennale e altre opere pub- bliche) ai fini collettivi? Perché allora non conservare speri- mentazioni di utopiche comuni- tà europee? Perché non indica- re strade più articolate della solo monumentale architettura? Credo che tra la CRITICA (che è il faro che illumina e oscura |
figure, opere, eventi & fatti dentro un disegno di inascenza) si stia perdendo, inseguendo fari, forme, figure e stars & superstars, ren- dendo l’architettura ad un mondo di eroi di carta.Siamo ben lontani dai progetti politici di Argan & Tafuri che lavoravano nei vuoti delle emergenze per un ridisegno dello scrivere la storia. Le pubblicazioni,strenne monogra-
fiche, sono sempre più asettiche ad ogni luogo, ad ogni contesto, edifici presenta- ti come un medagliere di vittorie sul campo,memorie di battaglie mercenarie. L’archi- tettura ha sempre lavorato nel plus valore e per il potere (sono poche le varianti) ma esiste una soglia di tolleranza civile nella riscoperta dei valori di un mestiere che non deve inseguire successi, premi e riconoscimenti (vedi caso Murcutt che non ritira il nobel degli architetti), vernici in biennali e triennali che hanno perso il loro valore comunicativo. E’ necessario operare con l’umiltà di produrre, di rendere il quotidiano una ragione d’essere nella propria nobiltà, di favorire processi economici modificando professionalità e ricerca. Il nostro paese ha bisogno di una riscoperta della dignità del quotidiano attraverso una riflessione che lo strano e l’eccezionale non ha risultato di continuità, appunto; quella che Rogers sottolineava come “l’utopia della realtà”, spinta del fare del progetto… ormai un poco dimenticata in un gioco da grande fratello. Ritornando a noi, se c’è un mo- do di recuperare il senso della lottizzazione della Pineta di Arenzano, è che allora e nel tempo era ed è fabbrica continua, formazione di maest- ranze che ancora oggi sono presenti sul territorio con straordinarie capacità artigia- nali ed intere famiglie si sono strutturate su questo processo di trasformazione. In un momento di mutazione economica i maestri d’ascia per barche si sono trasformati nel tempo come artigiani edili, formando e informando i mondi del progetto sino al design. Quasi un laboratorio, una scuola pragmatica del fare sapiente. Certamente a chiusura Rovera & Clivio giocano un ruolo importante, il primo per la gestione del piano Macchi Cassia il secondo per la diffusione dell’eredità anche attraverso degli articoli a memoria. Credo che questo sia il salto dell’esperienza di Arenzano, una sperimentazione colta e diffusa, partecipata, al di la di ricerche formali ed estetiche o esaltazioni espressive personali ma reale e formativa per chi progetta & per chi costruisce arrivando ad un’ intesa di im- maginario immaginato colletti- vo. Un modo di capire e cucire legami intrecci relazioni, Arenzano era sede di scambi culturali del novecento in casa Rodocanachi, di lì passa- vano Sbarbaro, Grande, Mon- tale, Barile, Gadda, Bo,Vittorini, Mario Labò e poi a seguito il mondo che si diceva prima. |